Marco Boato - attività politica e istituzionale | ||||||||||||||||
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Non sappiamo se quello del 2020, come alcuni osservatori paventano, sarà davvero un “autunno caldo”, a causa della grave crisi economica e sociale causata dalla pandemia da covid-19 e dalle sue conseguenze sulle condizioni di milioni di lavoratrici e di lavoratori. Ma le generazioni più giovani si chiedono spesso da dove venga questa metafora dell’”autunno caldo”, che in realtà risale ad oltre mezzo secolo fa. Si tratta di una espressione utilizzata per la prima volta dal leader socialista Francesco De Martino nel settembre 1969 e poi divenuta prevalentemente di gergo giornalistico, ma che poi ha avuto un’eco anche nella saggistica storica. Venne usata per indicare la fase culminante del ciclo di lotte operaie e studentesche che aveva caratterizzato il biennio ’68-’69 del secolo scorso e che trovò la sua fase più “esplosiva” nei rinnovi contrattuali triennali delle principali categorie operaie dell’epoca: soprattutto i metalmeccanici, ma anche i chimici e i tessili. In realtà, è necessario collocare quella specifica fase storica nel più ampio contesto degli anni ’60 e soprattutto del citato biennio ’68-’69, spesso definito come “il nuovo biennio rosso”, in analogia col biennio rosso del 1919-20. Mentre alcune esperienze di rapporto con la classe operaia si erano già verificate prima del ’68, soprattutto da parte di alcuni “gruppi minoritari” della sinistra “operaista”, il rapporto vero e proprio tra Movimento studentesco e Movimento operaio cominciò a svilupparsi prevalentemente a partire dalla primavera del 1968. Riguardò soprattutto città come Torino, Trento (e Rovereto), Milano, Pavia, Venezia (Porto Marghera), Pisa, Roma, Napoli, e anche molte altre, quando la contestazione studentesca cominciò a proiettarsi fuori dalle università ed a collegarsi con le diverse realtà delle fabbriche e delle rinascenti lotte operaie, dopo un periodo di stasi a metà degli anni ‘60. Non fu sempre un rapporto facile, specialmente per le tensioni che in alcuni casi vi furono con talune dirigenze sindacali, all’epoca ancorate a vecchie e “verticali” forme di organizzazione. Avendo nel ’68 gli studenti rifiutato di riconoscersi nelle precedenti associazioni di politica universitaria, avendo abbracciato lo slogan del “rifiuto della delega” e avendo cominciato a praticare le forme della democrazia diretta, la tendenza iniziale fu quella di relazionarsi, il più delle volte, direttamente con la classe operaia delle diverse fabbriche, spesso tentando di scavalcare le organizzazioni sindacali, le quali erano ancora legate alle tradizionali “commissioni interne”. Proprio in alternativa alle “commissioni interne”, in alcune fabbriche, anche sotto la spinta del Movimento studentesco, cominciarono a formarsi dei CUB (Comitati unitari di base), come alla Pirelli di Milano e alla Michelin di Trento (e in molte altre), oppure a livello cittadino si diede vita ad “assemblee operai-studenti”, come a Torino per la FIAT e per numerose fabbriche di quella grande città industriale. In alcuni casi molti operai cominciarono a partecipare anche alle assemblee studentesche, nelle facoltà occupate o in stato di agitazione, dove spesso si erano formate delle specifiche “commissioni fabbriche” del Movimento studentesco. È anche grazie a questo tipo di dinamiche che le organizzazioni sindacali, resesi consapevoli della necessità di superare vecchie forme di organizzazione e di rappresentanza, cominciarono a promuovere, soprattutto dal 1969 in poi, la formazione dei “Consigli di fabbrica”, nei quali si creava un più diretto rapporto tra i delegati e le lotte operaie (e che avevano avuto un precedente nella Torino del 1919-1920, durante il cosiddetto “biennio rosso”). Ma già nel corso del ’68 i rapporti tra Movimento studentesco e Movimento operaio si realizzarono, per citare solo alcuni esempi più significativi, alla FIAT e in altre fabbriche di Torino, alla Pirelli e in altre fabbriche di Milano, alla Michelin di Trento e in altre fabbriche, anche di Rovereto, alla Saint Gobain di Pisa, alla Zanussi di Pordenone e alla Zoppas di Conegliano, al Petrolchimico di Venezia-Porto Marghera, alla Apollon di Roma, alla Italsider di Bagnoli (Napoli). Una grande eco ebbe la lotta degli operai tessili – insieme agli studenti e anche ad una forte partecipazione cittadina – della Marzotto di Valdagno (Vicenza). A Valdagno, dove una vertenza durava già da tempo, ma senza risultati positivi, dopo uno sciopero generale del 10 aprile 1968, indetto unitariamente da CGIL-CISL-UIL, che però non ebbe alcun esito nel confronto con la direzione aziendale, un altro sciopero venne indetto dalle stesse organizzazioni sindacali, con l’apporto di studenti veneti e trentini e dei cittadini, per il successivo 19 aprile, in occasione del quale si verificarono ripetute cariche da parte delle forze di polizia. Questa situazione di grave tensione provocò una vera rivolta operaia, studentesca e cittadina, che si concluse con il simbolico abbattimento della statua di Gaetano Marzotto, il fondatore della dinastia tessile. Ci furono centinaia di fermi e 47 arresti: tutti di Valdagno, contrariamente alla tesi padronale che la causa della rivolta fosse dovuta a “sobillatori esterni” (il riferimento allusivo era agli studenti di Sociologia di Trento). La lotta a Valdagno continuò ancora a lungo e investì tutta la città, arrivando anche alle dimissioni del Consiglio comunale, pur formato a maggioranza assoluta democristiana. l’Unità, quotidiano comunista, aveva scritto: «È la rivolta di una intera popolazione contro il feudo, contro una vessatoria dominazione, intollerabile in questo secolo». La partecipazione studentesca e operaia in tutta Italia fu molto forte, nel biennio ’68-69, anche in occasione degli scioperi generali sindacali che furono indetti per abolire le “gabbie salariali”, per la riforma delle pensioni e per il diritto alla casa. Ma le esperienze più significative furono quelle che si formarono nel rapporto diretto tra operai e studenti, come ad esempio alla FIAT di Torino (in questa città gli scontri di Corso Traiano del 3 luglio 1969 anticiparono quello che poi fu chiamato appunto “autunno caldo”) o al Petrolchimico di Porto Marghera, dove la lotta esplose nel pieno dell’estate del ’68. “Operai e studenti uniti nella lotta” o il simmetrico “Studenti e operai uniti nella lotta” sono slogan che hanno caratterizzato migliaia di manifestazioni in tutte le città italiane nel biennio ’68-’69, culminando poi soprattutto nell’ “autunno caldo” dei rinnovi contrattuali del 1969. Già nel corso del ’68, un sindacalista della CGIL, Gastone Sclavi, in un suo articolo sul rapporto tra il sindacato e gli studenti, aveva scritto con una chiarezza allora non consueta all’interno del Movimento operaio: “La lotta degli studenti è diventata in questi mesi uno dei fatti politici europei più importanti, con il quale governi, partiti e sindacati hanno dovuto e devono fare i conti. Per la prima volta essa ha raggiunto una dimensione di massa e una capacità di reggere nel tempo lo scontro politico con le autorità accademiche e l’apparato repressivo dello Stato, che mai fino ad oggi si sarebbero immaginate riferite a una realtà sociale così contraddittoria come quella studentesca”. A sua volta, Alberto Asor Rosa, un docente universitario molto attento sia alle dinamiche del Movimento studentesco (dopo una prima fase particolarmente critica), sia a quelle interne al Movimento operaio, ha scritto in relazione a questo rapporto: “Dobbiamo chiedere al Movimento operaio di rinunciare ad accogliere nel suo interno solo quei discorsi e quelle forme organizzative, che coincidono perfettamente con le sue strutture e le sue indicazioni politiche presenti. Il metro di giudizio, la pietra di paragone devono essere ormai altri. In una strategia globale della lotta di classe in Italia, il Movimento studentesco esercita una funzione estremamente positiva e avanzata”. L’”autunno caldo” vide protagonisti anche molti degli operai di origine meridionale, che erano immigrati in gran numero al Nord dell’Italia negli anni ’60 e che vennero definiti con la figura emblematica dell’”operaio massa”. E alla fine dell’”autunno caldo”, nel 1970 venne approvato in Parlamento dalla maggioranza di centro-sinistra il nuovo “Statuto dei diritti dei lavoratori”, che aprì una nuova stagione di diritti sindacali e sociali. Ma alla fine del 1969, il 12 dicembre, ci fu anche la terribile strage fascista di Piazza Fontana a Milano, che inaugurò la strategia della tensione e delle stragi, una stagione che, dapprima caratterizzata dal terrorismo nero e dalle complicità degli apparati dello Stato, vide poi la nascita anche del terrorismo rosso. Il rapporto operai-studenti continuò anche nel corso degli anni ’70, fino all’esplosione conclusiva del movimento del ’77. Ma negli anni successivi al biennio’68-’69 non si trattò più prevalentemente di un rapporto tra Movimento studentesco e Movimento operaio in quanto tali, ma quasi sempre dell’intervento, rispetto alle varie lotte operaie e studentesche, che svilupparono quelle organizzazioni della “sinistra rivoluzionaria”, della “sinistra extraparlamentare”, della “sinistra di classe” o della “nuova sinistra” (per citare le varie denominazioni di volta in volta utilizzate), che si formarono come prosecuzione soprattutto delle precedenti lotte studentesche. Lo scenario, dunque, era completamente cambiato e si aprirono nuove dinamiche, anche conflittuali sul piano politico e concorrenziali su quello ideologico, che attraversarono gran parte degli anni ’70, con esiti a volte positivi, altre volte fortemente critici. Non è possibile prevedere ancora (mentre scrivo) se veramente nel 2020 si verificherà un nuovo e diverso “autunno caldo”. Ma il ruolo che oltre mezzo secolo fa ebbero i movimenti studenteschi rispetto alla realtà sociale delle lavoratrici e dei lavoratori ora potrebbe essere assunto da quei nuovi movimenti, che negli ultimi due anni si sono formati rispetto ai cambiamenti climatici ed alla questione ecologica intrecciata con la questione sociale. Mi riferisco ad esempio ai Fridays For Future, ad Extinction Rebellion, al movimento delle “Sardine”, ai movimenti per i diritti civili e umani e per la democrazia politica. Comunque una nuova stagione è aperta, e non solo in Italia.
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MARCO BOATO |
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